
Da "Cattivissimi Noi" (giugno 2013)
Al fatto che una delle caratteristiche della Zanzara è l’imprevedibilità. Ricordo un’intervista a sorpresa a Valerio “Giusva” Fioravanti nel luglio 2012. Ci furono polemiche infinite.
C: Pensa che per quella intervista Parenzo rischia una sanzione dell’Ordine dei giornalisti di Milano. Io me ne fotterei, però lui se ne preoccupa. È fatto così. Comunque sia, lo spunto ci venne offerto dalla presentazione di un documentario sulla strage di Bologna, Un solo errore di Matteo Pasi. Come succede in questi casi, prima dell’uscita ufficiale del documentario, i giornali riportarono alcune anticipazioni. Tra queste c’erano delle frasi, molto pesanti, di Fioravanti contro il presidente dell’associazione delle vittime, Paolo Bolognesi: lo accusava di essere politicizzato e che nella strage aveva perso “solo” la suocera.
Le dichiarazioni contro Bolognesi attribuite a Fioravanti erano: «È un vecchio partigiano mosso dall’ideologia» e «Ha perso la suocera e, come dice un mio amico, la suocera non è una vera perdita».
P: Tutti i giornali ne parlarono. Erano le venti e trenta circa. Durante un intervallo mi chiamò Cruciani e mi disse: «Proviamo a chiamare Fioravanti a sorpresa, magari risponde».
C: Chiesi il numero a un’amica che lavora coi radicali. Mandai un sms durante la diretta e dopo pochi istanti mi comparve un cellulare sul display. Passai il numero in regia e aspettai.
P: Fioravanti rispose subito e naturalmente si rese conto del contesto: La Zanzara, l’orario della telefonata… Sapeva di parlare in diretta alla radio, di essere intervistato e che le sue affermazioni sarebbero state ascoltate da migliaia di persone.
Fioravanti confermò la versione del documentario?
C: Sostanzialmente sì, pur insistendo sul fatto che formalmente non aveva mai concesso l’intervista per il documentario. Ci disse: «Quella era una finta intervista. Ogni tanto qualcuno me la chiede (un’intervista) e al novantanove per cento dico di no perché non parlo di sentenze passate in giudicato. La frase sulla suocera? Non me la ricordo. In ogni caso, in un dialogo fra persone si possono dire molte cose ma quella – ripeto – non era un’intervista. Non credo comunque di aver pronunciato quella frase, per lo meno non in un contesto offensivo». Ma poi Fioravanti ribadì che perdere la suocera non è come perdere un figlio (cosa accaduta all’ex presidente dell’associazione delle vittime, Torquato Secci) e che Bolognesi ha sempre parlato in nome dell’ideologia e non del dolore. A ulteriore conferma, pochi giorni dopo, il regista del documentario fece sentire il frammento di audio incriminato: era molto disturbato ma le parole di Fioravanti coincidevano.
L’intervista a Fioravanti vi creò problemi?
C: In diretta lo salutai con un confidenziale «Ciao Valerio», dandogli del tu. Ma non perché lo conoscessi, non l’ho mai incontrato in vita mia. Quello è semplicemente il tono che uso con gli ospiti, tutti gli ospiti, quando voglio metterli a proprio agio. A quel punto non mi misi neppure a spiegare chi fosse Valerio “Giusva” Fioravanti: non dissi che era il noto terrorista di estrema destra condannato all’ergastolo per tanti reati, tra cui la strage di Bologna. Lo avevo detto prima, durante la puntata. E comunque La Zanzara non è una trasmissione che spiega vita, morte e miracoli degli ospiti, noi non facciamo schede introduttive. Con Fioravanti andai subito al dunque: «La frase sulla suocera di Bolognesi l’hai pronunciata o no?» Poi Parenzo ne fece una delle sue. Appena prese la parola, iniziò con una frase secondo me sbagliata perché totalmente fuori contesto…
P: Frase che rivendico ancora oggi. Dissi a Fioravanti: «Volevo ringraziarla per le battaglie che lei adesso sta facendo. Fioravanti è stato un assassino e ha pagato, perché la magistratura l’ha ritenuto responsabile di quello che ha fatto. Oggi, però, un uomo che ha dato la morte lotta per la vita, perché lavora nell’associazione Nessuno tocchi Caino. È la grande vittoria dello Stato. Grazie Giusva».
C: Tu dimmi che bisogno c’era di iniziare in questo modo…
P: Dissi una classica “radicalata” con lo stesso spirito, non polemico, con cui avevo difeso Sergio D’Elia, ex Prima linea, quando divenne segretario d’aula della Camera dei deputati nel 2006 e la destra e una parte della sinistra lo ritenevano indegno di quel ruolo a causa del suo passato.
C: Ripeto, secondo me il riferimento a Nessuno tocchi Caino non c’entrava nulla in quel momento. Ma non per questo minaccio provvedimenti contro Parenzo come fa l’Ordine dei giornalisti. Fatti raccontare le accuse che gli hanno mosso!
P: Pochi giorni dopo l’intervista, un ascoltatore di Modena, che in realtà è un collega della «Gazzetta» locale, chiese formalmente all’Ordine dei giornalisti di avviare un procedimento disciplinare nei nostri confronti. In una lettera, uscita anche sui giornali, scrisse: «Cruciani e Parenzo hanno, a mio avviso, gravemente violato i doveri della professione giornalistica per quanto riguarda l’aspetto della continenza formale ovvero la corretta e civile esposizione dei fatti […]. I due conduttori non hanno spiegato agli ascoltatori chi stavano chiamando, hanno scambiato con lui saluti di cordiale familiarità e manifesta simpatia (“Ciao Valerio!”, “Ehilà Giusva!”)». Poi arrivò un altro esposto, da parte di un professore di storia sempre di Modena, Alessandro Smerieri. Ad aprile di quest’anno, cioè nove (nove!) mesi dopo, mi è stata recapitata una lettera dall’Ordine dei giornalisti di Milano, al quale sono iscritto (a differenza di Cruciani, iscritto a Roma), per avvisarmi che il 21 marzo è stato aperto un procedimento disciplinare nei miei confronti.
Con quale motivazione?
P: Te la leggo. L’Ordine contesta «la grande vicinanza ideologica ed emotiva nei confronti dell’intervistato, al quale Parenzo dà del tu chiamandolo Giusva, con il quale si congratula per le battaglie fatte». Come se le battaglie in questione fossero quelle dell’epoca dei Nar e non quelle di Nessuno tocchi Caino. Poi hanno spedito la stessa lettera alla Procura di Milano, forse perché pensano che qualcuno abbia voglia di mettermi sotto indagine per apologia di reato o non so che cosa! Io, ebreo, di sinistra, che faccio l’elogio del terrorismo nero! Non ha senso.
C: Aspetta. Ti accusano, anzi, ci accusano di avere utilizzato espressioni «tali da non consentire al pubblico di capire chi era la persona intervistata». È una roba che non ammetto che l’Ordine dei giornalisti stia lì a giudicare il modo in cui viene fatta un’intervista. Ma lo capiscono o no che noi con quell’intervista abbiamo dato delle notizie? Solo per questo andrebbe abolito. Senza dimenticare che alcune persone si sono riunite chissà quante volte per decidere – a quasi un anno di distanza – di aprire un procedimento disciplinare nei confronti di un collega che ha intervistato Fioravanti su un fatto preciso. Ti sembra una cosa normale?
Quale fu, invece, l’atteggiamento degli ascoltatori di fronte all’intervista con Fioravanti?
P: Si arrabbiarono moltissimo, ma questa è un’altra storia. Arrivarono subito messaggi e telefonate di fortissima critica perché avevamo dato voce a un terrorista. In particolare, venne criticato il mio elogio all’impegno attuale di Fioravanti coi Radicali.
C: A Parenzo dissi subito in diretta che quella frase era fuori luogo. Secondo me fece un errore stilistico perché la prima cosa che dici a Fioravanti non può essere: «Voglio ringraziarti per il bene che fai oggi». Però David, come al solito, accettò gli attacchi degli ascoltatori e, visto che ognuno in trasmissione è libero di dire quello che vuole, spiegò il suo ragionamento. Finita la puntata, per me la vicenda era chiusa. Invece dopo quasi un anno siamo alle prese con la burocrazia, con l’Ordine dei giornalisti!
P: Voglio ribadire che non ho fatto alcun elogio di Fioravanti, com’è evidente a tutti, ma un lavoro giornalistico, assolutamente valido, tant’è che il giorno dopo la nostra intervista venne ripresa da tutti i giornali. A proposito della frase sulla suocera, inoltre, siamo stati i primi a dire: «Ma cosa sta dicendo Fioravanti? Ma si rende conto?» Con gli ospiti c’è sempre un atteggiamento dialettico ma mai ideologico. Per il resto La Zanzara è una trasmissione nella quale le opinioni personali sono parte fondamentale. Non ci sono ospiti sgraditi.
Proprio nessuno?
C: Certo, nessuno. Uscisse dalla galera Izzo, il mostro del Circeo, lo inviterei subito. La discriminante non è se dare voce o meno a certe idee, anche le più repellenti. Come ho già detto, la differenza sta nelle domande che fai. Ma ti dico di più. Se fingo di essere amico del nazista per ottenere un’intervista o una notizia dov’è il problema? Perché l’Ordine dei giornalisti deve intervenire? Ancora. Non lo sono, ma fossi amico dell’ex terrorista non ho diritto di fare il giornalista lo stesso? Forse il problema è che si tratta di Fioravanti e della strage di Bologna. Quanti cronisti amici di ex assassini rossi ci sono, e nemmeno lo nascondono? Sono tutte cazzate, dai.
P: Altrimenti mi devono spiegare perché c’è una bellissima trasmissione di Raitre, Storie Maledette, fatta dalla signora Franca Leosini, in cui vengono intervistati i più grandi serial killer della storia. A volte viene fuori persino un’umanità di questi criminali. Il problema è che si pensa sempre, in modo molto snobistico, che chi guarda la tv o ascolta la radio sia un coglione, non in grado di capire. Invece non è così. L’ascoltatore della Zanzara sa che gli ospiti da noi sono trattati in un certo modo e, visto che non siamo Quark, non dobbiamo spiegare tutti i passaggi. Non è che entrano santi ed escono puttanieri, entrano ed escono come sono. Non esistono ospiti moralmente indegni di partecipare.
Il giorno dopo l’intervista, Mario Adinolfi sul suo blog scrisse: «Stimo Cruciani ma non doveva dare parola a Giusva Fioravanti […]. Caro Giuseppe, la prossima volta che ti viene l’idea un po’ troppo cinica di dare la parola a un assassino così, non ti limitare a salutarlo confidenzialmente (“Ciao Giusva”). Ricorda ai tuoi radioascoltatori chi è. E quanto sia ingiusta la sua libertà».
C: Quello stesso giorno chiamammo Adinolfi in trasmissione per parlarne, perché a noi piace il confronto aperto, schietto, sulle cose che facciamo. Per rispondere all’amico Mario, ammetto di avere a volte il timore, col fatto che spesso saltiamo le presentazioni degli ospiti, di dare per scontate cose che gli ascoltatori possono non conoscere. Detto ciò, Fioravanti ha scontato la pena e ora è fuori dal carcere. Non c’era motivo per non fargli l’intervista, il cui obiettivo era verificare se avesse pronunciato o meno una determinata frase, non giudicare la sua storia o gli anni del terrorismo in Italia.