Da Cattivissimi Noi (giugno 2013)
Vi ha mai denunciato qualcuno per gli scherzi telefonici alla Zanzara?
C: No, finora no.
Se dovesse succedere, come vi difendereste?
C e P: Diremmo che non si può mettere sotto processo uno scherzo telefonico.
Il direttore e l’editore di Radio24 hanno mai detto qualcosa o preso provvedimenti?
C: Sugli scherzi telefonici, almeno pubblicamente, direttore ed editore non ci hanno mai rotto le scatole. Tutti i direttori che ho avuto, da questo punto di vista, mi hanno sempre appoggiato. Dopo lo scherzo a Onida arrivarono telefonate dal Quirinale ma l’azienda ha difeso il programma a spada tratta. Ai piani alti qualcuno si imbarazzò, certo. Qualche mugugno c’è stato. Il direttore del «Sole24Ore» Roberto Napoletano, dopo una giornata di conversazioni roventi col Colle e dintorni, mi chiamò e mi disse: «Sai, le istituzioni, non bisogna esagerare…» Però alla fine nessuno mi ha detto: «Basta scherzi».
Lo scherzo telefonico è uno strumento lecito per un giornalista?
C: Non mi interessa dare una definizione: fa parte della tradizione radiofonica. Io sono un giornalista ma in radio non faccio solo il giornalista, faccio anche l’intrattenitore. Nel campo dell’intrattenimento, lo scherzo ci sta.
P: In un contenitore di due ore e mezza ci sta tutto. Minzolini è stato il più grande retroscenista politico italiano e prendeva le notizie origliando nei bagni.
C: Usava un virgolettato rubato.
P: Qui non c’è nulla di rubato. In verità, i nostri scherzi telefonici viaggiano su una linea che è quella di illuminare il retropalco della politica. Ma i fatti raccontati negli scherzi sono già tutti conosciuti: quando il finto Bossi chiamò Alberto Maccari, poche ore prima di essere nominato direttore del Tg1, tutti sapevano che quella scelta era il frutto di un accordo tra i partiti di centrodestra. L’avevano già scritto tutti i giornali, a cominciare dal «Corriere della Sera». Noi l’abbiamo semplicemente fatto raccontare all’interessato (al telefono Maccari disse a Bossi «sappia di poter contare sempre su un amico»).
Non è scorretto fare uno scherzo telefonico, soprattutto all’interno di un programma di informazione?
P: No. Io da quando ascolto la radio ho sentito centinaia di agguati via telefono. Ma nessuno aveva mirato al Colle, al colpo grosso. Questo lo scandalo.
C: Non penso che lo scherzo telefonico sia scorretto, ritengo solo che ci voglia prudenza, cioè registrare e mandare in onda solo quello che poi si può effettivamente trasmettere.
Insisto. Chi subisce lo scherzo è all’oscuro di tutto. E quando mandate in onda la registrazione non chiedete certo l’autorizzazione.
C: Se chiedessimo l’autorizzazione, non verrebbe mai concessa.
Non a caso il dibattito se trasmettere uno scherzo telefonico sia o no violazione della privacy è sempre aperto.
C: Non mi interessa. Fare uno scherzo telefonico non è come mettere una cimice addosso a una persona o, come qualcuno ha scritto, prendere una conversazione privata e pubblicarla. Non è la stessa cosa. Fa parte di una categoria ben specifica che si chiama “scherzo telefonico con imitatore”, che esiste da quando esiste la radio e non ha mai trovato un limite».
Un giornalista dovrebbe rispettare almeno la deontologia professionale.
C: Ripeto, qui non si tratta di diffondere conversazioni private. La Hack al telefono non è vera. E se proprio dobbiamo scusarci con qualcuno, quel qualcuno è proprio Margherita Hack, perché adesso chi riceve una sua telefonata potrebbe pensare a uno scherzo!
Poche settimane prima dello scherzo a Onida ci fu un’altra vittima illustre della finta Margherita Hack. Una storia finora rimasta inedita.
C: Sì, il “quasi” presidente della Repubblica Stefano Rodotà. Fu il primo scherzo telefonico della finta Hack. Chiamai il solito Merkù e gli spiegai chi era il bersaglio della telefonata. Era il 20 marzo e Rodotà non era ancora stato ufficialmente candidato al Quirinale da Grillo ma il suo nome già circolava tra i grillini. Una telefonata con la Hack, a sua volta indicata come possibile ministro di alto profilo, mi sembrava l’ideale.
P: Ancora una volta si tratta di una telefonata plausibile, tra due persone che si conoscono e si stimano. Per preparare scherzi telefonici che funzionano bisogna conoscere la politica e i suoi interlocutori. Si deve stare sulla notizia e capire qual è la persona giusta da chiamare al momento giusto. Se poi si aggiunge che facciamo questi scherzi non su Radio 101 o Radio 105 ma sulla radio più seria e paludata che c’è, dove a volte sembriamo due marziani, l’effetto è garantito.
Nel caso di Rodotà vi siete mossi addirittura con un mese di anticipo rispetto alle scelte in Parlamento del Movimento 5 Stelle…
C: Rodotà quel giorno era a Parigi. L’inizio della telefonata fu molto cordiale, non si sbilanciò troppo. Solo quando la Hack gli chiese se Bersani ce l’avrebbe fatta a fare il governo si lasciò scappare un «me lo auguro». Dopo un paio di minuti arrivò la domanda più interessante…
Quale?
C: Ti leggo il testo della telefonata:
Margherita Hack: Questi grillini mi sembrano sprovveduti, un po’ bischeri.
Stefano Rodotà: Hai assolutamente ragione. Io non voglio giustificare nulla ma sono effetto di una incapacità (della politica) in tutti questi anni di cogliere certe indicazioni. Naturalmente questo essere così sprovveduti fa correre rischi. Io mi auguro che messi di fronte tutti i giorni alla necessità di decidere e di prendere posizione, (i grillini) si muovano in Parlamento con minore spregiudicatezza, che è anche pericolosa.
Un piccolo scoop. Rodotà, il futuro candidato al Quirinale del M5S, giudicava sprovveduti i neoeletti del movimento di Grillo.
C: Alla fine la Hack gli chiese se sarebbe diventato presidente della Repubblica. Rodotà, che è un marpione, molto più scafato di Onida, se la cavò con una frase di circostanza: «Sono cose che dicono i giornali». Invece ci pensava, eccome se ci pensava.
Quando andò in onda lo scherzo a Rodotà?
C: Mai.
Perché?
C: All’inizio decidemmo di congelarlo.
P: All’epoca, 20 marzo 2013, non c’era nessuna notizia. Rodotà non era ancora il nome per il Quirinale che avrebbe diviso Pd e M5S.
C: Inoltre non volevo bruciarmi la possibilità di fare altri scherzi con la finta Margherita Hack. Un mese dopo, quando Rodotà venne effettivamente candidato, chiamai il direttore Tamburini. Volevo mandare in onda lo scherzo, il momento era perfetto, ma il direttore per la prima volta mi disse di no, in parte a ragione.
Con che motivazioni?
C: Erano appena iniziate le votazioni per il Quirinale. Mi parlò di inopportunità di mandare in onda un servizio tenuto in un cassetto, che avrebbe messo in cattiva luce la trasmissione e la radio. O meglio, credeva nella mia buona fede, ma disse che le reazioni sarebbero state quelle. Così lo scherzo venne bloccato definitivamente.
Pentito di come andarono le cose?
C: Secondo me lo scherzo si poteva mandare in onda. Io ho la coscienza a posto, ho tenuto congelato uno scherzo non per usarlo contro Rodotà ma per tirarlo fuori nel momento mediaticamente più opportuno, ma non grido certo alla censura. Ci siamo confrontati in modo limpido e alla fine chi ha la responsabilità finale ha preso una decisione. Funziona così. Resta il fatto che, se avessi mandato in onda lo scherzo subito dopo averlo realizzato, avrei bruciato l’imitazione della Hack, che con Onida avrebbe dato i suoi frutti…