
Da "Cattivissimi Noi" (giugno 2013)
C: Se cominciamo a fare denunce noi, può succedere di tutto, gli effetti possono essere imprevedibili. Anche gli ascoltatori, a un certo punto, potranno denunciare noi e il programma ogni volta che si sentono diffamati dalla sirena dell’ambulanza o da qualche parola pesante in diretta. Su Twitter, per fare un esempio, ricevo minacce e insulti tutti i giorni ma non mi sogno di cancellarli o censurarli. Figuriamoci poi portare qualcuno in tribunale. Quando voglio rispondere scrivo «Ti amo», oppure «Ciao amore» o ancora «Ti adoro, tesoro». Restano tramortiti e non reagiscono più. Ho bloccato solo qualche ammiratrice troppo insistente, le stalker impossibili da arginare. Dunque, non condivido il punto di vista di Serra: evidentemente sogna un mondo sereno e gentile, in cui la gente scambia le proprie opinioni civilmente, e pretende dei filtri durante una trasmissione radiofonica. Ma quel mondo non esiste. Serra è come Lerner che, da un lato ci ha criticato per le dichiarazioni contro il ministro per l’integrazione Kyenge fatte a La Zanzara da Borghezio («Vuole imporre le sue tradizioni tribali», «Questo è il governo del bonga bonga» e altre gentilezze del genere) chiedendosi perché continuiamo a invitarlo, dall’altro si dimentica che per anni Borghezio è stato ospite fisso a L’infedele. Dove veniva trattato come un fine intellettuale, mentre noi tiriamo fuori il vero Borghezio. Uno show come il nostro non è un pranzo di gala, per usare una frase che Serra conosce bene.
Però tra tutti quelli che potevate invitare a parlare di ius soli proprio Borghezio…
C: Io non ho niente contro il ministro Kyenge. Però, se esiste un dibattito sulla cittadinanza per i figli degli stranieri, io vado in cerca dei peggiori razzisti in circolazione: credo sia salutare tirar fuori i “mostri” o le posizioni mostruose sul tema. Non si può far finta che non esistano, meglio affrontarle in modo chiaro. Tornando, invece, alla denuncia fatta da Parenzo, io proprio non lo capisco. Se l’è presa terribilmente con l’ascoltatore di Mantova ma quando il fascista Saya in diretta lo chiamava «finocchio», «giudeo», «handicappato» lottava come un leone, senza sentirsi offeso. Alla fine mi chiamava ridendo e sghignazzando.
P: Ribadisco che per me esiste una linea di confine oltre la quale non si può andare. Inoltre, un conto è l’ospite volutamente “mostruoso”, che invitiamo apposta e che io tratto – seppur in modo paradossale – come un intervistato. Un altro è l’ascoltatore sconosciuto, che chiama e si assume la responsabilità di quello che dice. Se Mauro da Mantova in diretta mi definisce un «mongoloide» basta che lo dica una volta, mica deve ripeterlo in continuazione.
C: Si può discutere all’infinito sullo stile della Zanzara e si può anche rimanere inorriditi dal nostro linguaggio e di chi interviene in diretta. Ma io ho scelto di parlare come se non avessi un microfono davanti, come avviene nella vita reale. A tutti può capitare di parlare seriamente di massimi sistemi, che ne so, di un provvedimento del governo Letta, poi entra qualcuno nella stanza, ti fa arrabbiare e lo mandi affanculo. Così succede, in modo del tutto naturale e imprevedibile, anche in radio. Ma dire che La Zanzara è solo turpiloquio è falso, è come prendere due righe di un articolo ed estrapolarle dal contesto. Ricordo che dopo Mauro da Mantova chiamò un ascoltatore educatissimo e la trasmissione proseguì come se non fosse successo nulla.
P: Si deve riconoscere che sempre più spesso usiamo parole come “cazzo”, “ma che cazzo dici”, “non rompere i coglioni” e affini.
C: E allora? Se lo scandalo è che le diciamo sulla radio di Confindustria ci posso stare. Ma Italo Calvino, senti che citazione dotta che faccio, disse che “cazzo” è «una parolaccia di espressività straordinaria, senza pari in altri idiomi». Io non sono nemmeno convinto che la si possa definire così, cioè una volgarità. E poi la censura rende più evidente la parolaccia, sosteneva Claude Lévi-Strauss (questa l’ho letta da un’intervista straordinaria di Stefano Lorenzetto a Vito Tartamella di «Focus», scrittore e grande esperto di parolacce). Ma voglio riprendere più avanti questo discorso. Dove eravamo arrivati?
[...]
Altro oggetto di discussione è il linguaggio che utilizzate alla Zanzara. Ne parlavamo prima.
C: Nel senso che in diretta ci scappano spesso delle parolacce? Può succedere. Ma è una conseguenza naturale dell’impostazione che abbiamo dato al programma.
P: Se dobbiamo riprodurre fedelmente una conversazione dentro un ufficio, per strada, tra amici, anche le parolacce fanno parte del gioco.
Qualche tempo fa «Avvenire», il quotidiano della Cei, ha pubblicato la lettera di un genitore «disgustato dall’ascolto del programma». «Ho accompagnato mio figlio a pallavolo» prosegue la lettera, «e in quei dieci minuti ho sentito una sequela di parolacce rivoltanti e irripetibili. Mesi fa era un programma intelligente, ora è diventato volgare».
P: Pazienza. Mi dispiace per il signore ma poteva spegnere la radio o cambiare stazione anziché perdere tempo a scrivere a un giornale. Però va bene lo stesso, ognuno si sfoga come vuole.
C: In fondo bisogna saper accettare ogni tipo di ascoltatore: quello che si eccita quando sente la mia voce, quello che chiama per insultarci, quello che si indigna perché siamo scurrili. Pochi giorni dopo la tanto vituperata telefonata di Mauro da Mantova, chiamò un altro ascoltatore, da Verona, che ci accusò di rubare soldi chiacchierando alla radio mentre c’è un sacco di gente disoccupata. In quel caso che fai? Sfumi la telefonata? La censuri? Mai e poi mai. Con un sorriso lo invitai a fare un giro con me in Jaguar, macchina che peraltro non ho. Non mi vergogno di guadagnare, anzi vorrei guadagnare sempre più denaro.
A parte gli ascoltatori, qualcuno a Radio24 si è lamentato del vostro linguaggio talvolta spinto?
C: Sì. Ai piani alti dell’azienda c’è chi è convinto che le parolacce danneggino l’immagine del gruppo Il Sole 24 Ore. Qualche tempo fa s’è messo di mezzo pure il sindacato interno, quello che viene chiamato comitato di redazione. Per mesi si sono divertiti a mandare lettere di protesta a mezzo mondo per le parole che usiamo. All’inizio il pretesto fu un’intervista a Vittorio Sgarbi. Sgarbi è Sgarbi, non è mica madre Teresa di Calcutta. Vittorio aveva fatto il solito uso abbondante di «cazzo», «culo», «figa», «uccello» e affini. Parlava del processo Ruby, del matrimonio gay e dell’omosessualità di Rosario Crocetta. La cosa non era piaciuta, la ritenevano non compatibile con la linea editoriale. Vabbè. Ma era tutta una scusa per romperci le scatole. A certi sindacalisti non piacciono La Zanzara e i suoi conduttori, in particolare il sottoscritto. Ovviamente, me ne frego.
P: Racconta cosa hai appeso sull’armadio dietro la tua scrivania.
C: Ah, sì. È la lettera che il sindacato mi ha fatto mandare da uno studio di avvocati. Minacciavano di portarmi in tribunale per diffamazione per un’intervista che ho rilasciato al «Giornale». In tribunale, non so se mi spiego. C’è scritto: «… Lei ha rivolto espressioni offensive accusandoli di romperle i coglioni, di attaccarla per cose ridicole, spesso patetiche, in merito alle quali Lei se ne fotte…» Ci ho attaccato sopra una medaglia. Ma non sono cose serie, su.
Perché ce l’hanno con te?
C: Guarda, non voglio fare altre polemiche. Si chiama invidia del successo altrui, talvolta può causare scompensi gravi. Ci hanno scritto volumi interi.
Torniamo alle parolacce. Tu, Cruciani, cosa hai detto ai capi del «Sole»?
C: Guarda, l’argomento parolacce è serio. Soprattutto perché capisco lo stupore di qualche azionista per il linguaggio inedito nella radio della Confindustria, dove per la prima volta si è sentita la parola «cazzo». Ma il turpiloquio, che in senso letterale significa modo di parlare offensivo, volgare e irriverente, è una parte della Zanzara. Su due ore e trenta di trasmissione saranno due minuti al massimo. E poi come fai a trattenerti in diretta quando hai sciolto le briglie e ti comporti come se fossi al bancone di un locale? Come fai a fermare Rocco Siffredi che, in diretta da Los Angeles mentre sta andando a girare sul set, ti spiega nei particolari quali sono le nuove frontiere dell’eros? Oppure ti dice la sua sul cunnilingus, dopo la rivelazione choc di Michael Douglas sul cancro? Impossibile. Puoi evitare di chiamarlo, certo. Ma con Grillo, Ruby e Berlusconi sesso, politica e parolacce sono ormai pane quotidiano di tutti i media. I padroni dicono che non dobbiamo esagerare. E noi ogni giorno cerchiamo di trovare un equilibrio, anche se detto da me fa un po’ ridere.
Qual è il libro che citavi prima?
C: Stupendo, Parolacce di Vito Tartamella, che non è un nome finto ma un bravissimo giornalista del mensile «Focus». C’è scritto che le parolacce esprimono l’inesprimibile, sono il linguaggio delle emozioni e basta dirle per creare un’atmosfera di erotismo, libertà e gioco. Sono forse le parole più antiche della storia dell’uomo. In politica esistono dalla notte dei tempi.
P: Però devi raccontarla tutta, anch’io conosco quel libro. L’autore scrive che sono un’arma a doppio taglio, perché interpretano gli umori della piazza, accorciano le distanze a scapito dell’autorevolezza.
C: Il rischio c’è. Basta decidere se uno vuole essere autorevole o no. Facciamo uno show alla radio, ti ricordo.