Da "Cattivissimi Noi" (giugno 2013)
Non avete, invece, avuto bisogno di ingaggiare i politici – neanche pochi – che hanno partecipato alla gara di canto della Zanzara.
C: Un’estate vidi il presidente della Provincia di Como, il leghista Leonardo Carioni, cantare benissimo Celentano con Bossi su un palco. Lo chiamai per farlo cantare in diretta e da lì nacque l’idea di fare una gara tra i politici. Alla fine ne trovammo parecchi, cercando su internet e informandoci tra gli assistenti parlamentari.
P: Ne trovammo parecchi bravi. L’ex Idv Barbato cantò Alta marea di Venditti, Olga D’Antona, accompagnata da una chitarra in studio, cantò Como la cigarra di Mercedes Sosa. L’elenco è lungo e bipartisan: il leghista Buonanno-Orietta Berti, Marianna Madia-Quanto ti ho amato di Benigni, abbiamo ospitato persino un duetto a Bruxelles degli europarlamentari Pdl Lara Comi e Sergio Silvestris sulle note di Felicità. Non c’era un appuntamento fisso ma, appena scoprivamo un politico bravo a cantare, scattava l’invito.
Chi vinse?
C: Su sedici concorrenti, l’eurodeputato Tiziano Motti dell’Udc, imitatore perfetto di Vasco Rossi anche nei gesti, nella mimica. Un fenomeno vero. Realizzò anche un dvd con la sua imitazione di Vasco. Inoltre, grazie all’ex portavoce di Brunetta, Vittorio Pezzuto, scoprimmo che il primo a fare una cosa simile era stato Enzo Tortora. Nel 1983, all’interno della trasmissione Cipria su Rete4, si era inventato la rubrica Ugole del palazzo, con lo scopo di far cantare i politici. E cantarono anche pezzi grossi come il liberale Alfredo Biondi (poi a lungo in Forza Italia) e il segretario del Psdi, Pietro Longo. Il bello è che tra i nomi scovati da Tortora c’erano politici in attività fino a pochi anni fa, il che la dice lunga sulla longevità “andreottiana” dei nostri politici. Ad esempio, il socialdemocratico e poi berlusconiano Carlo Vizzini cantò Volare.
Se mi dite che non avete provato a farlo cantare a distanza di trent’anni non ci credo.
C: Tentammo di recuperare spezzoni del programma di Tortora ma erano bloccati da vincoli di diritti e naturalmente invitammo Vizzini a concedere il bis alla Zanzara. Rifiutò.
Al di là della delusione con Vizzini, c’era un periodo in cui l’esibizione canora dei politici era un appuntamento fisso, un tormentone.
P: Hai centrato il punto. Un format televisivo o radiofonico ha bisogno del tormentone. È il grande insegnamento di Arbore e di Alto gradimento. Noi ne abbiamo creati molti, spesso all’improvviso, quasi senza rendercene conto. Alcune esclamazioni mie e di Cruciani come «Non ci posso credere!», «Amico mio!» oppure «Ma di che cosa stiamo parlando?» Per non parlare della sirena dell’ambulanza, che facciamo partire ogni volta che un ascoltatore dice cose inaudite o di una noia mortale.
Anche nel creare i tormentoni giocate con gli ospiti.
C: Certamente. Spesso e volentieri facciamo sentire Dell’Utri che parla in siciliano. Oppure quando dice: «A Santo Domingo mi rompo i coglioni». Una volta, dopo venti minuti di diretta, non ne poteva più e ci disse: «Ancora ’ca semo» (siamo ancora qui?). Ogni tanto rimandiamo quello spezzone. Mi hanno pure accusato perché ho detto che Dell’Utri mi sta simpatico. Secondo certi ascoltatori non si dovrebbe dire di un condannato in appello per mafia. Io francamente me ne frego.
P: Uno dei primissimi tormentoni è il mio preferito: «A casa!», che dicevo persino prima di Grillo. C’era gente per strada che mi fermava gridando «A casa!» Un signore si era persino fatto la maglietta. Un altro ci ha spedito un disegno con Scilipoti portato via dal 118.