Da "Cattivissimi Noi" (giugno 2013)
A proposito di personaggi estremi, in casa Lega Giancarlo Gentilini è un altro di questi.
C: Un vecchio nostalgico del ventennio fascista che non tramonta mai, uno che a ottant’anni suonati ha trovato tempo e modo di ricandidarsi a fare il sindaco di Treviso. Lo considero un carrarmato della politica. È spontaneo, non si nasconde, soprattutto quando parla del “tempo che fu”, quando c’era “Lui”, cioè il Duce.
P: Con molti lati grotteschi. È una delle tante maschere create dalla Lega, in parte vittima delle stesse assurdità che dice sugli immigrati, sul fascismo, eccetera. Ciò non toglie che sia stato anche un bravo amministratore.
Ricordiamo un po’ di “perle” di Gentilini ai vostri microfoni.
C: Recentemente ha commentato la mattanza di Kakobo, il ghanese che ha ucciso a picconate tre milanesi: «Ci vuole la pena di morte, un criminale che si macchia di un delitto così efferato non deve vivere negli alberghi delle prigioni, coi miei soldi e quelli dei cittadini. Certi delitti vanno puniti». Non solo invocò la pena di morte, che ormai nessun politico in Italia reclama (per fortuna, aggiungo io) ma fornì anche dettagli piuttosto macabri: «Ci vorrebbe un’iniezione letale perché la morte deve essere data lentamente. Sono portavoce della volontà della gente e quelli di Kabobo sono delitti senza senso, è un delitto pazzesco e la pazzia va eliminata. L’unica alternativa sono i bagni penali di francese memoria, andare a spaccare pietre dalla mattina alla sera finché uno non riesce più a spezzare le pietre».
P: Io ripenso al suono sordo della sua risata, fragorosa, che gli venne fuori per caso in un’altra intervista, quando disse che non aveva eredi perché «Il Padreterno ha buttato via lo stampo dopo aver creato Gentilini». Ci regalò anche qualche scoop, come l’annuncio che si sarebbe ricandidato a sindaco. Ovviamente non era lui a voler tornare, ma il popolo trevigiano a reclamarlo. Il tutto all’insegna dei suoi slogan inconfondibili come: «Per governare ci vuole il pugno di ferro nel guanto di velluto. Ma sotto il guanto di velluto io voglio le punte d’acciaio, perché è finito il tempo del buonismo e della tolleranza». Nei suoi interventi non sono mai mancati gli affondi apertamente razzisti: «Quando celebro un matrimonio dico sempre agli sposi che ho bisogno di bambini della mia razza perché solo i miei cittadini sono in grado di portare avanti gli insegnamenti del mio popolo, gli altri (gli extracomunitari) avranno bisogno di secoli prima di integrarsi».
C: Gentilini è anche un curioso mix tra leghismo e fascismo, tant’è che lui ha sempre cantato l’inno di Mameli e anche ai nostri microfoni non ha mai avuto difficoltà a esclamare «Viva l’Italia». Ogni volta, infatti, basta un accenno al fascismo e lui si illumina: «Mi piacciono le marce militari tedesche, le marce dei miei tempi da Balilla e avanguardista, quando la maschia gioventù camminava per strada cantando le canzoni di guerra».
In effetti Gentilini è sempre stato un assertore del motto “un uomo solo al comando”.
C: Esatto. Ha sempre ammirato la Germania, il vero motore dell’Europa, e ci ha illustrato tante volte il Vangelo secondo Gentilini, fatto di «ordine, disciplina, rispetto delle leggi, prima noi, dopo gli altri».
P: Dove noi sono gli italiani e gli altri gli stranieri.
Alla Zanzara lo avete anche provocato sui gay.
C: La sua reazione fu in parte sorprendente. Disse di essere un «libertario per natura». Usò un’espressione molto azzeccata, se vuoi: «Ognuno è arbitro del proprio corpo».
P: Subito dopo, però, disse che non tollerava «esibizioni nei luoghi pubblici. Ognuno faccia le proprie cose nel proprio “recinto”». Ecco, recinto non è esattamente una parola da persona tollerante e liberale…
C: Però è sempre stato un grande sostenitore di una legge in favore della prostituzione, lui che da alpino a mignotte è andato parecchie volte, come non manca di ricordare con una punta di nostalgia. Con noi parlò di «cooperative dell’amore al di fuori del controllo dei magnaccia, che pagano regolarmente le tasse». Il personaggio è fatto così: discutibile sotto tanti aspetti, ma schietto anche nel riconoscere che nel suo partito ci sono state troppe ruberie per colpa di Bossi e della sua famiglia. Per dirlo con le sue parole «troppa gente ha messo le mani nella marmellata. E questo ha distrutto la Lega e la fiducia nella Lega». Non ha tutti i torti.
Ogni volta con lo sceriffo sento che ridete a crepapelle…
P: E come fai a non ridere? Le sue pose, il modo di parlare mussoliniano, le risate, il dialetto. Uno spasso.
C: Senti questa. Una volta ha detto: «Imbracciamo i fucili, facciamo una strage». Non ce l’aveva con i clandestini ma con le nutrie, quei grossi roditori che sguazzano nelle acque cittadine. «Le nutrie sono una calamità» disse, «Bisogna autorizzare i cacciatori, senza remore e senza dare ascolto agli animalisti, a uccidere questi animali. Io sono un alpino che durante il periodo di naia era pronto a imbracciare la carabina Winchester contro il nemico e pertanto credo che quello attuale rappresentato dalle nutrie debba essere eliminato allo stesso modo». Uno spasso.