Da Cattivissimi Noi (giugno 2013)
Voi riuscite a spingere le interviste in un terreno delicato, scivoloso. Nei casi che avete appena ricordato siamo ben oltre il giudizio politico, magari espresso con franchezza. Andate a scavare nel privato.
C: All’interno di una conversazione noi puntiamo a far rilassare l’intervistato. Se ci riusciamo, si spoglierà del ruolo istituzionale che ricopre e inizierà a parlare a ruota libera, senza preoccuparsi più di essere alla radio, con centinaia di migliaia di persone all’ascolto.
P: Un caso di scuola è l’intervista a Dario Fo nei giorni in cui nasceva il governo Letta. Ne disse di tutti i colori contro Brunetta.
C: Ah certo, era scatenato. Eravamo in trasferta a Perugia, davanti a una platea di giovani. Per strappare una dichiarazione choc a un ospite ci vuole fortuna ma bisogna anche stimolarlo a perdere i freni inibitori. Così gli feci sentire gli applausi degli studenti in sala per creare – ad arte – un clima favorevole.
P: Con l’ospite hai due strade davanti: o lo fai incazzare o inizi ad adularlo un po’. Quando sento dire che La Zanzara è forte coi deboli (gli ascoltatori) e debole coi forti (alcuni politici) penso che sia una grande minchiata, per dirla alla sicula. Ci sono ospiti e ospiti. Alcuni servono a uno scopo: tirare fuori una notizia o fare show. Ogni mezzo è buono per raggiungere l’obiettivo.
C: Certo. A noi per fare notizia basta anche un semplice sì a una domanda ripetuta all’infinito o posta in modo tranchant. Nel caso di Fo, immaginando il giuramento di Brunetta da ministro, disse che gli sarebbe servito «un seggiolino per poterlo mettere a livello, all’altezza della situazione».
P: Disse anche che le sue idee sono più basse della sua statura. E, a forza di chiedergli che opinione avesse di Schifani, ci rispose: «Il cognome è onomatopeico…» Il giorno dopo quelli del centrodestra se lo mangiarono vivo, c’era chi proponeva il ritiro del Nobel…